martedì 19 settembre 2017

ANIMA.


Settembre… le giornate cominciano ad accorciarsi, il buio ridiventa padrone di quelle due o tre ore sottrattegli dall’egocentrica estate, l’aria ricomincia a diventare fredda e gli alberi, le foglie, i frutti rilasciano le ultime gocce di colore in vista poi del grigiore e della letargia invernale! E puntualmente, in questa atmosfera settembrina, per me è d’obbligo leggere qualcosa che rispecchi questa situazione di lento spegnimento. Dunque per un lettore è tempo di romanzi tetri, di thriller, di horror, di noir e di mistero. Io ho cominciato con la lettura di “Anima” di Wajdi Mouawad, un romanzo del 2011 che ultimamente sta riscuotendo molto successo e non a caso, l’ho notato perché viene particolarmente osannato da vari blogger e bookstagrammers.

Tutto parte con l’assassinio atroce di una donna e continua con la ricerca da parte del marito/protagonista, Wahhch Debch, del colpevole, di vendetta… queste due righe che ho appena scritto sono troppo riduttive ma effettivamente ho cominciato la lettura di questo libro a cuor leggero, nel senso che mi aspettavo la classica trama da romanzo giallo di cui sopra: in realtà è diverso e originale. A circa un quarto del libro si sa già chi è l’assassino e a metà viene fatta giustizia. In effetti da questa trama noir parte un altro tipo di racconto più introspettivo ed oscuro: l’assassinio scatena nel protagonista un tormento incomprensibile che lo spinge, con estrema naturalezza, al pericolo ma, allo stesso tempo, lo guida verso la scoperta di verità scioccanti.
"Ha parlato delle linee permeabili che separano gli umani dalle bestie, e delle linee che solcano i volti dei viventi. Ha parlato delle linee che ci fanno e ci disfano, rughe, tratti, limiti, frontiere, demarcazioni. Ha parlato delle linee che ci salvano, linee conduttrici, elettriche, musicali, e ha parlato di quelle che ci mancano, quelle linee bianche sparite dal tracciato delle nostre strade, quelle linee invisibili alle nostre anime smarrite nel profondo dei nostri labirinti."
Inoltre per tutta la storia viene compiuta una riflessione sull'anima intesa come natura umana ed animale. Infatti l’autore non assume mai il punto di vista del protagonista ma le sue azioni, i suoi sentimenti, le sue reazioni vengono sempre descritte da altri. Questi “altri” sarebbero gli animali, un gatto, un serpente, scarafaggi, ragni, insetti, uccelli; hanno un’anima, riescono ad interpretare le emozioni e gli impulsi di Wahhch Debch e a provare talvolta anche empatia nei suoi confronti. Tutto questo in contrasto con i pessimi comportamenti umani i quali compiono azioni terribili e crudeli: va da sé che l’uomo è la bestia, il mostro.
"Gli umani sono soli. Malgrado la pioggia, malgrado gli animali, malgrado i fiumi e gli alberi e il cielo e malgrado il fuoco. Gli umani sono sempre sulla soglia. Hanno avuto il dono della verticalità, e tuttavia conducono la loro esistenza curvi sotto un peso invisibile. C'è qualcosa che li schiaccia. Piove: ecco che corrono. Sperano nella venuta della divinità, ma non vedono gli occhi degli animali che li guardano. Non sentono il nostro silenzio che li ascolta. Prigionieri della loro ragione, la maggior parte di loro non faranno mai il grande passo dell'irragionevolezza, se non al prezzo di un'illuminazione che li lascerà esangui, e folli. Sono assorbiti da ciò che hanno sotto mano, e quando le loro mani sono vuote, se le portano al viso e piangono. Sono fatti così."

Altro elemento aggiunto del libro è che l’autore vuole mettere sotto i riflettori e far conoscere un fatto realmente accaduto nella storia: i massacri di Sabra e Chantila (Libano) del 1982. Io non conoscevo questa episodio orribile, ho fatto qualche ricerca e le descrizioni realizzate dai giornalisti fanno accapponare la pelle e lasciano senza parole. (articolo "Ce lo dissero le mosche" a questo link!) Dunque la riflessione principale del libro assume ancora di più senso: perché l’uomo che è dotato di capacità di giudizio compie determinate atrocità? Quale ne è il senso? 
Un plauso di certo va all’autore, Wajdi Mouawad, che ha costruito una storia incredibile attraverso una struttura narrativa originalissima. La scrittura è eccelsa (vorrei scrivere anche io così!) e ho letto la traduzione italiana, figuriamoci in lingua madre! A tratti è estremamente cruda si sofferma su particolari macabri senza alcun tipo di problema, altre volte ci sono descrizioni poetiche che trovano un senso di riflessione nella narrazione. In aggiunta a tutto questo ci sono spesso citazioni di spessore o ancora storie e passaggi tratti da documentari che aggiungono al racconto veridicità.
"Siamo una moltitudine nelle vicinanze del sentiero erboso, rannicchiate nelle cavità delle pietre o del fogliame dei cespugli per preservare la nostra luce. Luccichiamo lontano dallo sfolgorio del giorno, lontano dalle città e lontano dagli umani. Siamo le polveri antiche di innocenza dimenticate. Esistiamo ancora. Ci saranno sempre delle tenebre dove poter tracciare le nostre linee evanescenti, e questo durerà finché dureranno le  notti oscure."
Come sempre capita qui all’Osteria, consiglio vivamente questo libro. Non basta assolutamente quanto ho scritto per tratteggiarne l’unicità e la straordinarietà, bisogna saggiarne le parole e il respiro.
Buonissima lettura, Marty! J

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